sentenza N. 2866/08
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, (Quinta Sezione)
ha pronunciato la seguente


DECISIONE


sul ricorso in appello n. 8318 del 2007, proposto dall'Azienda Sanitaria Locale n°2 di Olbia, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dal dr. Giuseppe Pintor, con la collaborazione della dott. Cinzia Piras, domiciliato presso la segreteria della sezione;
CONTRO
la sig.ra ........, rappresentata e difesa dall'avv. Silvia Felicetti presso il suo studio in Roma, viale Mazzini n. 25;
per la riforma della sentenza del TAR per la Sardegna 14 luglio 2007, n. 1648;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della parte appellata;
Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore alla pubblica udienza del 14 dicembre 2007 il Consigliere Aldo Fera;
Uditi per le parti gli avvocati Pintor, Piras e Felicetti, come indicato nel verbale d'udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO
Oggetto dell'appello è la sentenza specificata in rubrica, con la quale il TAR per la Sardegna ha accolto il ricorso presentato dalla sig.ra.. ....., ai sensi degli articoli 25 della l. n°241/1990 e 23, comma 3, della l. 675/1996, ed ha condannato l'Azienda Sanitaria Locale n°2 di Olbia ad esibire e rilasciare copia delle cartelle cliniche del defunto fratello Gian Lucio ...... La ricorrente aveva presentato l'istanza di accesso nella sua qualità di erede legittima, motivando la domanda con l'esigenza di conoscere gli atti reclamati al fine di portare avanti iniziative giudiziarie connesse alla morte del congiunto.
L'appellante, oltre a contestare le motivazioni contenute nella sentenza, sostiene che il Tar della Sardegna ha erroneamente riconosciuto alla ricorrente di primo grado il diritto di accesso alla cartella clinica del fratello defunto, senza considerare che:
  1. trattandosi di dati sensibili, non era sufficiente allegare un generico interesse ad una possibile azione giudiziaria, ma occorreva dimostrare l'esistenza di un rapporto di strumentalità tra il documento richiesto e una specifica azione giudiziaria da intraprendere, ai sensi dell'articolo 92 del decreto legislativo del 2003 n. 196;
  2. in materia di diritto di accesso, la qualità di erede, riferendosi a posizioni giuridiche di rilievo esclusivamente patrimoniale, non è idonea a fondare la legittimazione soggettiva di chi chiede l'accesso a documenti concernenti i dati sensibili di terzi;
  3. in considerazione del fatto che l'azienda provvede con le risorse finanziarie a sua disposizione all'erogazionedi un pubblico servizio, è da riformare il capo della sentenza relativo alle spese del giudizio. Spese che comunque chiede di porre a carico della ricorrente per entrambi i gradi.
Conclude, quindi, chiedendo, in riforma della sentenza appellata, il rigetto del ricorso di primo grado.
La sig.ra ........., costituita in appello, eccepisce, in via pregiudiziale, il difetto di legittimazione del procuratore dell'Azienda e la tardività dell'appello. Nel merito contesta le tesi avversarie e conclude per il rigetto dell'appello.


DIRITTO
  1. La palese infondatezza dell'appello esime il collegio dal trattare le questioni pregiudiziali sollevate dalla parte appella, il cui esame richiederebbe un'attività istruttoria destinata a prolungare i tempi del processo.
  2. Il TAR per la Sardegna, in accoglimento del ricorso presentato ai sensi dell'articolo 25 della l. 7 agosto 1990, n. 241, ha condannato l'Azienda Sanitaria Locale n. 2 di Olbia ad esibire e rilasciare alla ricorrente copia delle cartelle cliniche del fratello defunto.
Secondo l'Amministrazione appellante, la pronuncia del primo giudice è errata, in quanto, a suo avviso, non avrebbe tenuto nel debito conto del fatto che l'articolo 92, comma 2, del d.lgs. 30-6-2003, n. 196, stabilisce che " eventuali richieste di presa visione o di rilascio di copia della cartella . da parte di soggetti diversi dall'interessato possono essere accolte, in tutto o in parte, solo se la richiesta è giustificata dalla documentata necessità: a) di far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria ai sensi dell'articolo 26, comma 4, lettera c), di rango pari a quello dell'interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile; b) di tutelare, in conformità alla disciplina sull'accesso ai documenti amministrativi, una situazione giuridicamente rilevante di rango pari a quella dell'interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile." Per cui non era sufficiente allegare un generico interesse ad una possibile azione giudiziaria.
L'assunto non può essere condiviso, in quanto la norma richiamata dall'Amministrazione riguarda una fattispecie diversa da quella qui in esame.
Ed invero, l'articolo 92, comma 2, del d.lgs. 30-6-2003, n. 196, persegue l'intento di tracciare una linea di confine tra due diritti meritevoli di considerazione, quello dei cittadini alla trasparenza dell'azione amministrativa, che ha costituito la ragione fondamentale della riforma introdotta con la legge 7 agosto 1990, n. 241, e quello del singolo alla riservatezza. Questa esigenza è affrontata dalla legge mediante lo strumento della comparazione tra l'interesse del soggetto, cui si riferiscono i dati in possesso dell'Amministrazione, e quello di colui che, per diversi motivi, può trarre utilità dalla loro conoscenza. Stabilisce, infatti, la legge che l'interesso all'accesso alle informazioni prevale sulla riservatezza ogniqualvolta questo venga in rilievoper la cura o la difesa di interessi giuridici del richiedente, salvo che non si tratti di dati personali , nel qual caso l'art. 16 comma 2 d.lgs. 11 maggio 1999 n. 135 (ora art. 60 d.lgs. n. 196 del 2003) prescrive che l'accesso è possibile solo se il diritto che il richiedente deve far valere o difendere sia di rango almeno pari a quello della persona cui si riferiscono i dati stessi.
Nel caso di specie, però, il problema di una comparazione di interessi configgenti non si pone in radice perché il diritto alla riservatezza, che appartiene alla categoria dei diritti della personalità, tradizionalmente configurati come inalienabili, intrasmissibili e imprescrittibili, si estingue con la morte del titolare.
Stando così le cose, la questione non è se la ricorrente sia o meno titolare di un diritto " di rango pari a quello dell'interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile " ovvero se sia o meno erede del soggetto cui si riferiscono i dati, ma se abbia iure proprio il diritto all'accesso ai dati contenuti nella cartella clinica. Si tratta di un'ipotesi non disciplinata direttamente dalla legge sulla privacy e che va, pertanto, risolto alla stregua dei principi generali desumibili dall'ordinamento giuridico.
Ora, con riferimento ai diritti della personalità, se è vero che essi si estinguono con la morte del titolare, è altrettanto vero che varie norme riconoscono ai congiunti superstiti, indipendentemente dalla qualità ereditaria dei medesimi e senza che ciò comporti alcuna successione, poteri che si connotano per essere una proiezione post mortem della situazione giuridica di cui godeva l'interessato. Si ricorda, tra l'altro, il potere di proporre querela per l'offesa alla memoria del defunto, che l'art. 597 comma 3 c.p. riconosce ai prossimi congiunti oltrechè all'adottante ed all'adottato; il potere di consentire o meno alla pubblicazione del ritratto e della corrispondenza del defunto, che l'art. art. 93, comma 2, e 96, comma 2, della legge 22 aprile 1941, n. 633, sulla protezione del diritto d'autore, riconosce al coniuge o ai figli, o, in loro mancanza, ai genitori e ancora ai fratelli ed alle sorelle, e, in loro mancanza, agli ascendenti e dei discendenti fino al quarto grado; il potere di rivendicare la paternità dell'opera del defunto e di opporsi alle sue deformazioni, mutilazioni od altre modificazioni, che l'art. 23 comma 1 della stessa legge n. 633 riconosce ai medesimi soggetti; il potere di determinare il modo e la forma della normale destinazione del cadavere, in cui si è trasformato, con la morte, il corpo della persona defunta, che un'antica consuetudine attribuisce ai congiunti del defunto in ragione del sentimento di pietà che li lega al medesimo.
Peraltro, anche nella disciplina in materia di protezione dei dati personali è rinvenibile una apposita norma (articolo 82 d.lgs. n. 196 del 2003) che, con riferimento all'informativa ed al consenso al trattamento dei dati personali, stabilisce che questa possa avvenire successivamente all'intervento dell'operatore sanitario, in caso di " impossibilità fisica, incapacità di agire o incapacità di intendere o di volere dell'interessato, quando non è possibile acquisire il consenso da chi esercita legalmente la potestà, ovvero da un prossimo congiunto, da un familiare, da un convivente o, in loro assenza, dal responsabile della struttura presso cui dimora l'interessato".
Ora, se i congiunti hanno titolo ad interloquire in questioni così rilevanti concernenti la conservazione della salute, allorché il familiare ancora in vita sia nell'impossibilità di provvedervi personalmente, a maggior ragione essi devono ritenersi legittimati dopo la sua morte ad acquisire le informazioni di carattere sanitario in possesso dell'Amministrazione. Anche perché, ove così non fosse, i congiunti del paziente deceduto non potrebbero neppure acquisire quelle informazioni di carattere preliminare necessarie per chiarire eventuali dubbi circa l'efficienza del servizio prestato e l'efficacia e delle cure prestate al loro congiunto.
Passando infine all'ultimo motivo, con il quale la sentenza di primo grado viene appellata per la parte relativa alla condanna delle spese del giudizio, giova ricordare come " la statuizione del Tar in ordine alle spese e agli onorari del giudizio costituisce espressione di un ampio potere discrezionale anche quando il soccombente sia stato condannato al relativo pagamento, per cui in sede di appello detta statuizione può essere sindacata solo quando sia stata posta a carico di una parte non soccombente oppure risulti manifestamente irrazionale o in contrasto con la normativa riguardante le tariffe professionali." ( Consiglio Stato , sez. IV, 14 maggio 2007 , n. 2433). Nel caso di specie, la sentenza di primo grado rispetta tali principi e pone giustamente le spese del giudizio a carico della parte soccombente, senza che l'appellante ponga alcuna questione circa la violazione della normativa in tema di tariffe professionali.

L'appello, pertanto, deve essere respinto.
Appare tuttavia equo, stante la novità delle questioni affrontate, compensare tra le parti le spese del giudizio di appello.


P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, sezione V, respinge l'appello.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia seguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 dicembre 2007, con l'intervento dei signori:

Aldo Fera Presidente
Cesare Lamberti Consigliere
Aldo Fera Consigliere est.
Nicola Russo Consigliere
Adolfo Metro Consigliere